03/06/2015  al 19/06/2015

Rosella Restante. Clinamina

A cura di: Testo di Mimmo Grasso

Rosella Restante. Clinamina
Mercoledì 3 giugno 2015, alle ore 18,00 a Roma, presso lo Studio Arte Fuori Centro, via Ercole Bombelli 22, si inaugura  l'installazione Clinamina di Rosella Restante, testo in catalogo di Mimmo Grasso
L’evento è il terzo appuntamento di Osservazione 2015  ciclo di cinque mostre in cui gli artisti dall’Associazione culturale Fuori Centro, tracciano i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione. 

Clinamina
di Mimmo Grasso

Il lavoro di Rosella Restante assume sempre le forme dell’intelligenza  rispetto alle opere  che, di solito, nascono da una pulsione che viene poi razionalizzata in simbolico-reale-immaginario, e lì si posiziona elevando a potenza la logica. Questa mostra, che fa riferimento esplicito ai clinamina di Democrito, già nella sua organizzazione spaziale comunica un processo per cui dalle forme pure (rettangolo, quadrato) si passa, in senso orario, a quelle circolari, poi cuneiformi, fino alle sinuosità degli strumenti umani.  Si tratta di forme che hanno in comune la possibilità di teoremi, che sono il risultato (materiale di risulta) di un pensiero dominante in questa artista: la forma; meglio: ɸ orma (ɸ è il simbolo della psiche). Citare Democrito, qui, significa aprire mondi plurali, rinviare alla teoria del caos e dei sistemi complessi fino alle macroidee della fisica quantistica, i suoi universi paralleli, e alle microvisioni delle stringhe.  Già. Ma sappiamo che, per  gli atomisti, la casualità è dominante nella formazione degli oggetti  e delle loro forme.  I lavori “esibiti” in questa mostra  come reliquie del caos o come citazioni di sistemi fisici, numerologicamente dodici su un quadrante immaginario, si pongono davanti all’osservatore come un dato di fatto, oggetti caduti dal cielo delle stelle fisse. Dove  troviamo il caos? Nelle molteplici capacità di interpretazione, come è tipico dei segni puri, come la grande arte pretende.  Altresì, ogni lavoro, e l’insieme di insiemi che formano la forma, non prescinde da una forte aura semantica per cui la geometria (quadrilateri) elaborata con un  carboncino trovato per terra, tra le rocce, rinvia ai graffiti (ricordiamo, in merito, il parallellepipedo di 2001 Odeissea nello spazio) e certamente il supervisore è Platone (personalmente, vedo la mano di Restante muoversi guidata da quella di un antenato);  analogamente, i cunei lanceolati rinviano alla struttura del quarzo (matematicissimo minerale) e alle folgori saettate da un dio uggioso; le strutture rotonde ci sembrano atomi in attesa di un urto che dia loro movimento. Quest’urto è il nostro sguardo, che colloca il “rotondo” ora accanto al quadrato ora accanto al cuneo. La stessa procedura, ovviamente, vale per gli altri elementi della mostra che sembrano ammiccare fra di loro, nascondere un segreto, giocare a nascondino (“la natura ama lo stare-nel-nascosto”). La congerie  di “oggetti oggettivi”  è certamente in attesa di un fiat rappresentato dagli strumenti del carpentiere,  del fabbro, dell’operaio, che “non fanno altro che” evidenziare, il dolore e il timore che ci comunicano,  idee e forme già contenuti nelle cose della natura ed è appena il caso di ricordare che “natura” è lemma perifrastico indicante “ciò che sta per nascere” e che, dunque, è già-e-non-ancora. Proprio in questa attività di luminosa indagine, nell’attrezzeria concettuale, consiste la bellezza del lavoro di Restante, nel “ridurre”  la materia all’idea che già contiene seguendo la dinamica “physis-lògos”. È allora logico che queste tracce di materia siano anche segnali del proprio “no”, l’antimateria; non mi meraviglio nel sentire, nel silenzio infrastellare tra gli oggetti, mentre in controluce nello spazio chiuso cade una pioggia pulviscolare,  nitrire i cavalli di Parmenide, le sensazioni, così come trovo normale che quell’ombra sdraiata per terra, con la testa appoggiata sul gomito e un fiore rosso tra le labbra, sia un dio che sogna le forme che vedo o che, dopo averle create, si riposa.
L’insieme dà vita a una sintassi della  percezione, a un fraseggio in cui ogni elemento può assumere la funzione di soggetto o predicato, di “questo” e “quello”, di o/o, con una  variabilità  elevata a potenza ad eccezione, come mi sembra, degli strumenti umani, gli attrezzi che si pongono, nel mio vissuto, come avverbi(perché, quando, così, allora…): la parte invariabile del discorso.
 


 

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