03/04/2009  al 20/04/2009

RITA MELE: Il colore del silenzio

A cura di: Ivana D'Agostino

RITA MELE: Il colore del silenzio
Il linguaggio visivo costruito da Rita Mele, nonostante l’inevitabile feconda curiosità verso le possibilità espressive di altri media, si sviluppa tutto a partire dalla pittura, scelta come mezzo privilegiato per esperire campi esistenziali e culturali spesso molto differenti tra loro, sia per presupposti teorici sia per soluzioni formali.
La pittura, infatti, a partire dai primi anni ’80, le ha permesso di incamminarsi verso orizzonti di ricerca sempre nuovi, in cui gli stimoli si intrecciano e sovrappongono a definire altri punti di riferimento, provocare reazioni a catena, produrre risultati discordanti e delimitare un territorio di azione dai confini fluttuanti, entro cui i termini figurazione e astrazione non rappresentano più semplicemente i concetti di una costruttiva contrapposizione dialettica. Perdono la loro originaria univocità, per offrirsi come radice comune di una più ampia problematica connessa all’arte, nell’intento di legare strettamente le une alle altre le motivazioni di esiti diversi e di esperienze difformi, talvolta tangenti ma più spesso divergenti.
Se il limite che separava le due posizioni teoriche, che nel corso del novecento hanno animato un dibattito ricco di spunti critici e di impulsi creativi, non esiste più, dal momento che l’artista non solo lo ha oltrepassato, ma anzi ha stabilito la possibilità di una ricercata e fertile contaminazione tra loro, è inevitabile che l’impianto delle sue opere risulti sempre differente a seconda prevalga l’una o l’altra. Può accadere che un ciclo di lavori appaia essenzialmente astratto, ma poi in maniera del tutto inaspettata da una slabbratura nel tessuto cromatico compare una figura, che l’occhio, superata la sorpresa, non fatica a focalizzare, né nella struttura né tanto meno nel significato. Così come, d’altra parte, in un ciclo di lavori sostanzialmente figurativi l’impianto aniconico e, soprattutto, il piacere per la libera espressione del colore possono finire per diventare assolutamente dominanti, tanto da annullare qualsiasi originaria tensione narrativa.
L’intento è di istituire un equilibrio dinamico, capace di esaltare in uguale misura le potenzialità evocative di un linguaggio figurativo e gli elementi dell’astrazione, tenuti insieme dal desiderio di sperimentare accanto alla pittura, anzi mescolati ad essa, sempre altri mezzi espressivi, provenienti dalla pratica dell’arte o da quella della vita. Gli esiti formali si articolano, allora, intorno alla necessità di sviluppare, ogni volta con rinnovato entusiasmo, alcuni dei numerosi assunti programmatici, entro cui si dibatte la complessità della ricerca contemporanea, che spazia dall’esigenza di elaborare in maniera organica sia le posizioni della tradizione artistica, sia l’utilizzo di materiali eterogenei accolti dalla quotidianità dell’esperienza.
La prassi operativa di Rita Mele, pur collocandosi in quella linea di recupero della pittura, che a partire dai primi anni ’80, attraverso uno stringente ragionamento sulla sua densità di senso e sulla sua capacità di trascendimento, ha offerto e continua ad offrire un terreno sempre fertile per nuove occasioni di sperimentazione, si presenta come un percorso multiforme e sempre pronto ad accogliere stimoli diversi, che lo rendono complesso e ricco di produttivi ripensamenti.
Nel linguaggio che ha costruito, elaborando con tempi e modi originali le sollecitazioni della contemporaneità e quelle del passato, il colore svolge un ruolo assolutamente preponderante. Come seguendo il crescendo parossistico di una melodia e poi i necessari momenti di ritmo più moderato ed anche di pausa, che costituiscono la struttura dello sviluppo armonico di una composizione, Mele crea le sue opere partendo dal colore, steso con una gestualità difforme, in cui le pennellate, lunghe o brevi per cadenzare uno svolgimento mai scontato, si infittiscono o diradano a materializzare il crescere o il diminuire di modulazioni intense. Ma all’opulenza del colore, alla sua tattile sensualità, alla sua capacità evocativa, alla sua avvolgente densità materica e tonale si contrappone spesso, in questi anni recenti, l’utilizzo del bianco totale, steso sulla tela con gesti misurati e talvolta scandito da un flusso di parole apparentemente sconnesse, incise nello spessore viscoso della materia cromatica nell’intento di rendere manifesto il filo di un dialogo tra sé e sé, senza interrompere però il silenzio che domina l’intero impianto.
All’esuberante senso del colore, strutturato su improvvisi accenti timbrici e inaspettate variazioni tonali, corrisponde, perciò, la necessità di provare a costruire attraverso il bianco, inteso come negazione del colore stesso, un luogo in cui la voce del silenzio può offrirsi come irrinunciabile opportunità per scandagliare inaspettate profondità. Un luogo interiore, in cui l’esistenza vissuta, gli accadimenti quotidiani si trasfigurano, a suggerire profondità incommensurabili, che si sviluppano senza soluzione di continuità ben al di là dei limiti fisici della tela.
Nel percorso di ricerca che Rita Mele ha costruito e con tenacia continua a costruire, seguendo un cammino spesso accidentato, in cui le certezze non sono mai assolute, il silenzio si pone, infatti, come sottile linea di demarcazione tra lo spazio occupato dagli incomprensibili percorsi della vita quotidiana, che ha perso di vista le esigenze reali delle singole esistenze, e uno spazio dello spirito, più che della geografia, in cui è possibile affrontare la difficile convivenza tra la solitudine dell’essere e la necessità comunicativa dell’esistere.

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