22/01/2000  al 12/02/2000

VIGNA JACOBINI proposte per un recupero ambientale

A cura di: Teresa Pollidori - testi di Ivana D'Agostino e Guglielmo Gigliotti


ARTISTI: Mario Maria Bianchi -  Lucilla Caporilli Ferro -  Antonella Capponi - Nito Contreras -  Rocco Coronese -  Adriano Di Giacomo -  Karin Eggers  - Rosanna Lancia - Massimo Luccioli - Cosetta Mastragostino -  Antonio Menenti - Elena Sevi - Alberto Timossi - Tito - Mario Velocci - Oliano Zampieri
-----------------------------------------------
Il crollo della palazzina di Via Vigna Jacobini, nel Dicembre 1998, è stato un evento luttuoso non solo per il quartiere Portuense ma per tutta la città ed ha lasciato un vuoto immenso oltre che negli animi dei cittadini anche nel tessuto urbano, come una ferita aperta e non rimarginata. Lo stupore e la costernazione, il dolore e la rabbia, lo sconforto per una tangibile impotenza hanno pervaso a lungo la comunità; gli interrogativi sulle responsabilità del disastro sono ancora insoluti e dovranno avere le loro risposte, ma intanto l'inevitabile trascorrere del tempo contribuisce a far cadere il ricordo nell'oblio e lascia la sgradevole sensazione che nulla si faccia per riscattare in qualche modo il dolore del lutto sia da parte delle Istituzioni che della cittadinanza. L'idea di questa mostra, " Vigna Jacobini, proposte per un recupero ambientale", da una parte vuole essere uno stimolo a ridare ai concittadini, ad un anno di distanza, la memoria dell'evento luttuoso, dall'altra vuole renderli partecipi della presa di coscienza e della volontà delle Istituzioni di restituire alla città lo spazio in cui la sciagura si è consumata. All'arte e alle opere di artisti abbiamo affidato, per l'occasione, il compito di offrire questo significativo tributo, un ponte verso la memoria e la riflessione, una fonte di energia capace di far riemergere, con le idee e la creatività, la vita là dove improvvisamente si era interrotta.
Gianni Borgna Assessore alle Politiche Culturali – Comune di Roma
 
----------------------------------------------------------------------
La necessità sempre più forte di decentramento in questi ultimi anni, ha visto fiorire una lunga serie di interessanti iniziative, volte creare eventi culturali in luoghi periferici, nell'intenzione di dimostrare che è possibile superare i limiti e le barriere e che, soprattutto, la cultura si esprime attraverso un linguaggio universale. L'associazione culturale FUORI CENTRO si inserisce in pieno in questa linea politico-culturale, nella dichiarata intenzionalità di operare al di fuori dei luoghi privilegiati dell'arte, per cogliere nel decentramento le illimitate possibilità di creare nuove situazioni di coinvolgimento e di aggregazione. Recuperare la grande carica socializzante che l'arte possiede per ricondurla nel suo originario sentiero di percorrenza è uno dei motivi che ha spinto l'associazione a farsi promotrice di questa mostra, patrocinata dal Comune di Roma. Il crollo della palazzina di via Vigna Jacobini nel quartiere Portuense, ad oltre un anno di distanza continua a generare sgomento e dolore. Ma l'arte, elaborando l'evento tragicamente luttuoso, attraverso i progetti degli scultori che, più dell'architetto o dell'urbanista, possiedono la capacità evocativa del segno e della forma, si propone di restituire allo spazio la vitalità perduta. Il luogo dell'insensata morte di tante vittime della cieca stupidità umana torna quindi a rivivere trasformandosi in un'area fruibile come struttura urbana polivalente e polifunzionale, in cui il ricordo del dolore si mescoli inscindibilmente al desiderio di aggregazione. Vigna Jacobini attraverso i progetti dei 16 artisti: Mario Maria Bianchi, Lucilla Caporilli Ferro, Antonella Capponi, Nito Contreras, Rocco Coronese, Adriano Di Giacomo, Karin Eggers, Rosanna Lancia, Massimo Luccioli, Cosetta Mastragostino, Antonio Menenti, Elena Sevi, Alberto Timossi, Tito, Mario Velocci, Oriano Zampieri, diventa così luogo della memoria, simbolo della vita che continua e, soprattutto, della capacità dell'arte di proporsi come strumento di trasformazione e miglioramento sociale.
Teresa Pollidori 
Presidente Associazione Culturale FUORI CENTRO
 
-----------------------------------------------------
 
Proposte scultoreo-ambientali per superare la frattura
di lvana D'Agostino
Ad un anno di distanza dal tragico evento che in una notte, quella del 16 dicembre 1998, vide il crollo di una intera palazzina a via Vigna Jacobini, nel quartiere Portuense, la mostra di questi sedici progetti scultoreo-ambientali che si propone, vuole essere un segno tangibile, una risposta concreta che s'intende dare alla città intera e al quartiere. Le idee presentate dagli scultori che hanno a volte lavorato insieme agli architetti, perlomeno nell'elaborazione di alcuni di questi progetti di riqualificazione dello spazio dove è avvenuto il crollo della palazzina, lo hanno fatto nella logica di elezione del luogo ad un principio di memoria dinamica, che non si fossilizza nel ricordo ma si rigenera attraverso la vita; principio che risulta evidentemente acquisito in tutti i progetti presentati, concordemente orientati nel ripristino del flusso vitale dell'esistere, proprio li dove esso è stato così dolorosamente infranto. Non monumenti, quindi, trionfalmente al centro di uno spazio dato sovrastorico e atemporale, non epitaffi staticamente incisi nel marmo a celebrare il vuoto e l'assenza attraverso memorie implosive, ma spazio verde, luogo d'incontro e di aggregazione, parco giochi per bambini, campo di bocce per anziani. Le idee presentate ruotano attorno ad un concetto di spazio per la gente che vive, popolato di panchine e di alberi, dove il quartiere si muove, sosta e ricorda ma all' interno di un ciclo vitale, che nei suo divenire fattivo, proprio qui si rigenera. E' un pò come ritornare agli archetipi primigeni di antiche civiltà, riperpetuando la ritualità dei genius loci, la persistenza nel tempo di una determinata funzione del luogo, in questo caso di un insediamento urbano la cui persistenza si proietta - e progetta - per un futuro che si vuole oltre la frattura. Gli scultori invitati riqualificano lo spazio ambientale per riconsegnarlo alla città utilizzando materiali di diretta derivazione tecnologica: ferro, tondini d'acciaio, cemento, metacrilato, rame. Anche in queste scelte si esprime la negazione del monumento da consegnare alla storia, circoscritto nell'auraticità della più nobilitante, e tradizionale, realizzazione scultorea in marmo statuario o fusione bronzea. Alla scelta anticlassica dei materiali si associa, ovviamente, quella di un linguaggio plastico giocato piuttosto sulla sottrazione, sul prosciugamento, sull'azzeramento dei codici linguistici. Un linguaggio minimalmente essenziale, che utilizza la scultura come citazione più che non come enfasi, come segno scultoreo d'orientamento per uno spazio che risulta anche gravido di significati simbolici. Come si riscontra nel progetto di Massimo Luccioli, per ilquale la grande macchia nera al centro del mosaico romano, con cui realizzerebbe la pavimentazione dello spazio, coincide con l'ombra del sole proiettata a terra nel solstizio d'inverno del16 dicembre dello scorso anno. Il segno scultoreo in ferro - leggibile come ramo o porzione d'arcobaleno - inserito dall'artista nell'ambiente tra le panchine e gli alberi, attraverso la sua ombra proiettata, rende tangibile il ricordo, spostandosi sul piano ad ogni solstizio di quel tragico giorno. Sulla memoria s'impernia anche il progetto della Capponi elaborato con la collaborazione dell'architetto Ghirelli. Il Giardino di pietra da loro ideato è il luogo del silenzio e dei ricordi, nel cui contesto il concetto di volume sottratto della palazzina si concretizza nella pavimentazione reticolare dell'area, costituita da gabbiature in rete metallica e pietrisco. Passeggiare e pensare: questo è il senso delle due strutture scultoree verticali, Cubicolo, in vetrocamera e diaframmi trasparenti a cui la Capponi consegna il momento della meditazione, un po come avveniva nella camera del sonno dei romani. Il ricordo è il propulsivo deterrente utilizzato anche nel progetto spaziale della Eggers, il cui Obelisco piangente qualifica la fontana in cemento che inserisce nel contesto ambientale. Dalla fenditura azzurra dell'obelisco in ferro fa fuoriuscire gocce d'acqua, che cadendo su casse sonore metalliche di varia altezza, producono una melodia sempre diversa. Sul suono e sugli elementi naturali capaci di modificare le forme scultoree sono studiati anche i progetti di Mario Velocci e Alberto Timossi. Il Muro sonoro è ideato da Velocci come ideale barriera- diaframma, fondale prospettico di un lato dello spazio di via Jacobini. Ai cinquanta tondini di acciaio confitti secondo direzioni verticali ed oblique su basi di ferro, lo scultore affida il canto muto del vento che vi gioca in mezzo, come in una specie di canneto palustre a delimitazione di uno spazio dato. I segni scultorei pensati come delimitanti un'area da Velocci, si distribuiscono invece sull'intero contesto spaziale da riqualificare nel progetto di Timossi. Qui tubi di ferro deformati di altezze diverse, sostenuti in quota da un graticcio metallico esteso sull'intero spazio, alludono ad una sorta di foresta brulla, sulla quale l'azione della pioggia, della luce e del vento che muove gli elementi plastici, partecipano tutti alla modellazione dell'opera stessa. Nel verso di una riqualificazione ambientale dello spazio più orientata a sviluppare funzioni polivalenti si muovono i progetti di Nito Contreras e Mario Maria Bianchi. Il progetto di Contreras, seguendo una logica che ne caratterizza la ricerca ormai da numerosi anni, individua nella scultura un indicatore spaziale pensato in simbiosi ineludibile con il contesto urbano. La scultura di forma circolare aperta, composta da tre elementi curviformi, di cui due di rame e uno di metacrilato trasparente, si propone come misura dello spazio, ordinato su tre livelli ricoperti di un manto erboso. Essa stessa, ben lontana dal concetto di feticcio plastico, si caratterizza come segno marcatamente urbano per la sua polifunzionalità, tanto da poter essere scultura utilizzabile come fontana, come piattaforma per spettacoli od anche, lungo i tracciati a terra delle sue ombre, come meridiana segnatempo. Gli stessi principi di plurifunzionalità spaziale progettati in un divenire dinamico sono presenti nell'idea sviluppata da Bianchi insieme all'architetto Giulio Mizzoni. Anche qui vengono sfruttati i diversi livelli stratigrafici del suolo derivati dal vuoto lasciato dalla palazzina, per diversificare aree di differente destinazione. Un campo di bocce per anziani nel livello più profondo e spazi verdi per i giochi dei bambini ai livelli superiori, raccordati fra loro da una grande pensilina curviforme realizzabile in legno lamellare. La presenza di un arcobaleno in acciaio, che si proietta nello spazio, assume il senso di un segno scultoreo carico di densi significati simbolici; ipoteticamente trascrivibili attraverso i Segni emblematici dell'alfabeto di una probabile lingua remota, scritto da Bianchi con il tondino di ferro sul muro di perimetrazione dello spazio. Ancora giochi di bambini per confermare la proposività di un pensiero vitale, caratterizzano il progetto di Cosetta Mastragostino. Uno spazio verde, il suo, adibito a giardino pubblico e parco giochi. Un ambiente essenziale e minimale in cui, a tre elementi scultorei in travertino di struttura archiforme della gittata di dieci metri e sostenuti da centine di ferro, si consegna una funzione variamente interpretabile come scivolo o panchina per la sosta. Comune a tutti i progetti presentati è, evidentemente, l'attivazione della memoria, tuttavia costantemente vissuta da tutti gli artisti in una proiezione dinamica tale da prevedere, in tutti i progetti presentati, la presenza vitale dell'uomo sul luogo della tragedia, per superarla, quindi, per un oltre che vuole travalicare la frattura.
Presentazione di Ivana D’Agostino
 
----------------------------------------------------------------------------
 
Un gesto culturale per un recupero della coscienza cittadina
di Guglielmo Gigliotti
 
Il tragico crollo di Via Vigna Jacobini del dicembre 1998 è un evento che ha colpito in profondità le coscienze di tutti i romani. Ventisette sono stati i morti, ma, nei giorni successivi al crollo, un ventottesimo spettro aleggiava sulle macerie del Portuense, quello di una città che implode, perché incapace di rigenerarsi nel rispetto della vita sua e dei suoi figli. La morte di ventisette persone, infatti, evocava inevitabilmente un altro tipo di morte, quella civile; e Roma vuole essere una città viva. Tuttavia, la vitalità di una comunità si misura anche in rapporto alla sua capacità di elaborare culturalmente ed antropologicamente un lutto collettivo di cui improvvisamente si trova ad essere investita. E' stato infatti subito chiaro che, al di là del diffuso sconcerto provato per un simile episodio, l'evento luttuoso non riguardava solo la sfera privata delle famiglie così crudelmente colpite, ma l'intera collettività cittadina. Non è interesse di questo scritto affrontare il problema delle responsabilità pratiche e oggettive della tragedia, che è compito della magistratura, quanto quello di vagliare una nozione di responsabilità estesamente civica e culturale, che ogni cittadino ha il diritto-dovere di mantener viva. Le macerie del Portuense non evocano solo l'assurdità di un disastro, ma rappresentano anche un drammatico termine di commisurazione della profondità del radicamento della coscienza cittadina. E' stato il generale affievolirsi di questa coscienza, in fondo, a permettere che avvenisse quanto è avvenuto. Via Vigna Jacobin non costituisce quindi solo un campanello d'allarme riguardo alle condizioni strutturali degli edifici capitolini e nazionali, ma anche riguardo alla consistenza dei valori etici che informano una civiltà degna di questo nome. Il nefasto crollo ha lasciato in eredità a chi rimane un angoscioso vuoto topografico che va colmato. Ma non con un nuovo edificio, che sarebbe operazione gravemente rimozionale, quanto con la pienezza che può garantire il senso di una laica meditazione riguardo alla vita che s'interrompe. Dove c'era un palazzo, adesso c'è un nulla insostenibile che invoca risposte e prese di coscienza. Perché c'è qualcosa che può essere addirittura più grave del crollo stesso: il silenzio della città. Silente è oggi lo spazio orfano dell'edificio sgretolatosi, spazio che deve tornare ad essere spazialità, luogo, vita. Nessuna perizia tecnica potrà mai conferire un senso alla morte di 27 innocenti; dovere morale della comunità è, tuttavia, operare in direzione di un tributo alla loro memoria, che faccia dell'idea della morte motivo di nuova riflessione sulla vita. E'un'urgenza, questa, alla quale si può rispondere solo con un gesto culturale d'ampia portata, un gesto culturale che sia al contempo anche gesto politico, inteso nel senso etimologico di polis-città. Sono queste le istanze che ispirano la presente mostra, che coinvolge 16 artisti nell'intento di suggerire possibili letture di un recupero ambientale, paesaggistico e architettonico dello spiazzo di Via Vigna Jacobini. E' solo questo il modo per far sì che lo spiazzo possa recuperare la dignità di "luogo", di concentrato esistenziale, di tessuto vitale. Ripensare Via Vigna Jacobini, dunque, è l'impegno cui sono stati chiamati un gruppo di artisti. Nessuno di loro ha titubato nell'adesione al progetto, convinti che il senso della loro arte stia pure nel confronto produttivo e creativo con la città, che sia anche con i luoghi dove la città muore e fa morire. L'arte non è astrazione intellettuale, vagheggiamento lirico o speculazione sul bello, l'arte è un modo di essere al mondo. Non c'è nulla che possa veramente definirsi artistico che non parli della vita, del suo sorgere e definirsi dentro e fuori di noi, a prescindere dalla stessa arte. L'arte, ma pure la musica, la poesia, nascono proprio per questo: per dare un luogo a quanto la logica razionale non può far suo perché intrinsecamente limitata. E' il luogo dell'ineffabile, del mistero, del magico, che poi sono solo parole (di per sé pure limitate) per alludere al lato non codificabile della vita e dell'esistente. Che non è lato oscuro o lontano, ma sostanziale della vita nel suo determinarsi nei suoi aspetti variegatissimi e talvolta, perché no, contraddittori. Con questo esistente che vive, si trasforma, poi muore, ma solo per rinascere, l'artista da sempre si è confrontato, dando il suo apporto al dialogo irrinunciabile con la dimensione dell'indefinibile. Una società che non riconosce e avvalora questo ruolo dell'artista, è società che rinuncia a questo tipo di dialogo, pascendosi nelle illusorie soddisfazioni dell'effimero e del materialistico, che sono pure condizioni della vita, ma in sé legittimabili solo come controparte dialettica di quanto la materialità da sola non spiega In questo contesto il crollo di Via Vigna Jacobini rappresenta, per l'artista, un richiamo ed uno stimolo assai forti, perché l'episodio, al di là della sua tragicità, mostra il luogo dove la rete si sfilaccia, dove l'assieme armonico di un contesto ambientale, ma anche culturale, sta perdendo la sua integrità, che è condizione imprescindibile per la sua autosussistenza. Dove crollano i palazzi, muore anche l'arte, perché l'arte è un'idea di vita e la vita è un tessuto inestricabile di fili che, se spezzati, non permettono che altri vi si annodino. L'artista intuisce bene che Via Vigna Jacobini è solo un sintomo patologico di un morbo (l'indifferenza?) che questo tessuto sta erodendo dal centro. L'artista che reagisce, dunque, si fa rinnovato tessitore dei presupposti e delle motivazioni che muovono la sua stessa ragion d'essere. E non è impegno civile, che sarebbe formula limitata e condizionata da usi e abusi che essa nei decenni passati si è fatta, ma presenza affermativa nel divenire culturale di una città, alla costituzione del quale ambiente anche l'artista deve dire la sua. sedici artisti invitati da Ivana D'Agostino e dallo scrivente, dicono dunque la loro, ma solo per far tornare a parlare Via Vigna Jacobini, riimmettendola, attraverso un impulso progettuale, nel flusso esistenziale della vita urbana. Farlo significa anche adeguare le tipologie d'ogni singolo linguaggio artistico ai connotati della topologia dello spazio che è da rivitalizzare. E' dunque un uscire dallo studio e da una nozione di opera d'arte plasticamente e semanticamente in sé conchiusa. Per farsi qualificazione ambientale, l'opera deve infatti necessariamente emanciparsi dall'autonomia oggettuale cui spesso è relegata dalla solitudine dell'artista, e farsi termine di dialogo serrato con il contesto spaziale e sociale. E' un urgenza dell'arte questa, ma anche della città che, nel caso di Roma, poco sensibile si è dimostrata nel passato recente a far sì che queste due urgenze s'incontrassero, completandosi nell'idea di una comune progettualità. Perché non è da dimenticare che una città è un sistema di segni e di coordinate plastico-spaziali cui solo un'organica e consapevole regia può garantire solidità e qualità estetica. Lo stanno a dimostrare, tra i tanti esempi possibili, le piazze barocche del Bernini, piazze di una città che evidentemente questa sensibilità ha nel codice genetico. E' per questo che si può dire che il futuro di Via Vigna Jacobini transita anche attraverso il passato della città. Roma non deve infatti rinascere, deve solo imparare a continuare a vivere. Non sarebbe male, sarebbe anzi altamente significativo, se ciò avvenisse a partire da Via Vigna Jacobini, sito di una tragedia che ha in sé, a ben operare, il seme del suo riscatto. Non farlo germogliare significherebbe votarsi all'oblio, sommando crimine a crimine. Agli otto scultori selezionati da chi scrive (Tito Amodei, Lucilla Caporilli, Rocco Coronese, Adriano Di Giacomo, Rosanna Lancia, Antonio Menenti, Elena Sevi, Oriano Zampieri), e agli altrettanti scelti da Ivana D'Agostino, è stato chiesto dunque un impegno di forte coinvolgimento e di orgogliosa affermazione dell'arte nella vita sociale. A livello operativo è stato suggerito un indirizzo tematico che puntasse ad una soluzione di recupero ambientale di taglio non retorico, ma profondamente ragionato. Una soluzione che si ponga a metà strada tra meditazione e vita quotidiana, tra memoria e futuro. A via Vigna Jacobini non dovrà sorgere un monumento, ma una nuova realtà che sublimi la tragicità del crollo nell'affermazione di una costruttiva vitalità.
Presentazione di Guglielmo Gigliotti

 
 


 
 

Categorie

document.addEventListener('DOMContentLoaded', function(event) { cookieChoices.showCookieConsentBar('Navigando sul nostro sito accetti la privacy policy. Il sito utilizza i cookie di terze parti per profilare gli utenti', 'Chiudi ed accetta', 'La politica della Privacy', '/privacy.html'); });