23/04/2013  al 10/05/2013

Riccarda Montenero. Libre circulation

A cura di: Loredana Rea

Riccarda Montenero. Libre circulation

DISCESA ALL’INFERNO
viaggio in un tempo presente

 

Ho trangugiato un’inaudita sorsata di veleno. - Sia tre volte benedetto il consiglio che mi è giunto! -  Le viscere mi bruciano.  La violenza del veleno mi torce le membra, mi rende deforme, mi schianta. Muoio di sete, soffoco, non posso gridare. È l'inferno, la pena eterna! Guardate come il fuoco si ravviva! Brucio come si deve. Va, demonio!

Arthur Rimbaud

 

Frammenti disarticolati di un viaggio a ritroso in un tempo presente, che lambisce con la crudezza della sua flagrante contiguità, sono ciò che Riccarda Montenero propone con Libre circulation, serie recente di fotografie, in cui nella studiata costruzione delle immagini nulla è concesso al caso, per lasciare emerge la necessità di tracciare un’amara riflessione sull’inaudita violenza dell’uomo sull’uomo e narrare il doloroso contatto con un’esperienza intessuta di solitudini, di emarginazioni, di inquietudini, di diversità, di inspiegabili invisibilità, che non possono più essere nascoste ma devono essere esposte agli sguardi.
A guidarla è l’intrinseca attitudine a oltrepassare la superficie per andare in profondità, tanto che diventa inevitabile il rifiuto di porsi frontalmente rispetto alle cose, rinunciando a ogni desiderio di registrare, per mostrare invece quanto attraverso l’obiettivo della macchina fotografica esse possano rivelarsi differenti. A interessarle è quella lateralità, che permette di guardare il reale ma anche di superarlo, innescando un complesso meccanismo di slittamenti semantici, per trasformare la realtà in una raffinata e feroce messa in scena.
Montenero parte, infatti, dal farsi mai scontato del reale e procedendo per sottrazione lo immobilizza in tagli studiati, spesso decontestualizzanti, in immagini emblematiche che pur mantenendo lo stretto legame con la realtà dell’esistenza affermano l’assoluta importanza dell’intervento creativo dell’artista. È lei che stabilisce le modalità e il senso della visione, tracciando il limite che la separa dall’irritante visibilità di un quotidiano raggelato nella forzata sublimazione operata dall’intelletto o paradossalmente fagocitato dai mass-media, che troppo spesso lo restituiscono svuotato di ogni valore.
L’intento è svelare la verità di una quotidianità, in cui miseria e sopraffazione si mescolano senza soluzione di continuità, ma anche la sottile bellezza che inaspettatamente può affiorare silenziosa dietro la crudezza della realtà, a ritmare i passi di questo cammino verso l’oscurità di un mondo, in cui tutti sembrano vivere ai bordi di una marginalità che mai potrà farsi pienezza.
A condurla è il bisogno di mostrare non l’orrore, a cui in qualche maniera si è già assuefatti, ma l’insensata crudeltà che si nasconde dentro la quotidianità di chi vive in un disagio che non può essere taciuto, perché legato a traumi che devono essere sciolti, a dolori che devono essere leniti, a silenzi che devono essere infranti, a fragilità che devono essere protette.
Non le interessa la normalizzazione delle emozioni, che inevitabilmente metterebbe in atto sul sentire un’azione di sistemazione formale, tanto che il linguaggio definito utilizzando quasi esclusivamente il bianco e nero conferisce alle immagini un’ambivalente solennità: accentua i contrasti, minimizza alcuni particolari e ne esalta altri fino a renderli urtanti, come a rilevare l’urgenza di vivere una normalità troppo spesso negata.
Lo sguardo allora non è indagatore, semmai rivelatore del tentativo di afferrare ciò che cova nell’oscurità di ognuno, al di là del timore di essere giudicato per le debolezze, per le inadeguatezze, per tutte quelle meschinità che talvolta affiorano improvvise da uno sguardo sprezzante, da un gesto sdegnato, da una parola non detta.  
Per questo Riccarda Montenero si è spinta nell’abisso e, sopravvissuta alla discesa all’inferno, ci costringe a vedere ciò che certamente noi non vorremmo vedere, la miseria di un’umanità incapace di compassione, la blasfema caducità di un’apparenza che si fa sostanza.

Loredana Rea

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