22/02/2005  al 11/03/2005

GUIDO PECCI: la casa di giulia

A cura di: Loredana Rea

GUIDO PECCI: la  casa di giulia A connotare fin da principio le molteplici esperienze di Guido Pecci è la consapevolezza che nella complessa strategia dell’arte contemporanea lo sconfinamento dai mezzi tradizionali e l’uso di altri sistemi espressivi non depotenziano il linguaggio artistico, semmai amplificandolo ne riaffermano l’incidenza, per questo la sua ricerca nell’ampio campo delimitato dalla pittura è fatta di distinti e spesso divergenti assunti propositivi, che si intrecciano, si sovrappongono e si contaminano l’uno nell’altro. Un tale presupposto conduce inevitabilmente all’affermazione di una problematicità del linguaggio pittorico, inteso come mezzo per esplorare ambiti esistenziali e culturali delimitati da asserzioni differenti, come strumento privilegiato per rapportarsi criticamente ad ogni certezza e, soprattutto, come possibilità di essere nella realtà per risolvere la parzialità degli accadimenti quotidiani nell’assolutezza dell’arte. Materializzazione di questa programmatica problematicità è la sapiente alternanza di una manualità vorticosa con un’azione più misurata. La prima fatta di ritmi fratti, materie dense, pennellate energiche, improvvise sgocciolature a creare una temperie di sensazioni forti, difficili da enucleare nell’indistinzione assoluta della materia cromatica, la seconda giocata tutta su un’articolata tessitura di immagini e segni, che se da una parte denunciano la fertile inquietudine dell’artista, dall’altra proclamano la fatale attrazione per la figura. Il percorso di Pecci, infatti, è partito alcuni anni fa da una stringente riflessione sul corpo e ora ad essa sembra tornare, anche se complicato dalle esperienze compiute nel breve arco di un quinquennio, periodo in cui ogni azione di questo giovane artista è stata animata dall’ansia famelica di esperire il mondo attraverso la pittura. Il corpo, sebbene lacerato, ridotto a brandelli dalla pulsione al movimento insita nella materia che aggrega e disgrega, nasconde o lascia emergere emblematici frammenti, continua ad essere il centro della sua riflessione. Di esso la pittura trattiene le inequivocabili tracce, la memoria dell’esistere, la sua aspra, bruciante urgenza di espressione, ma anche la profondità dei suoi bisogni, siano pure impudichi, inconfessabili e si manifestino come flusso indistinto di istinti incontrollabili. Non c’è finzione, la difficoltà di essere non è mascherata con la grazia dell’apparire, perché l’intento è quello di rendere manifesta l’impossibilità della vita di conformarsi ad un modello e per questo l’evoluzione della ricerca lo ha condotto a elaborare un linguaggio in cui flussi di energie diverse connettono frammento a frammento, chiarificano il senso dei segni incisi nella materia cromatica, fanno emergere immagini impastate nella densità del colore, ma contemporaneamente si incontrano e scontrano, portando l’artista verso direzioni lontane dall’approdo definitivo. Il momentaneo approdo della ricerca di Pecci si materializza oggi in questa esposizione enigmatica già nel titolo La casa di Giulia. Giulia era la figlia prediletta di Augusto, da lui stesso allontana da Roma ed esiliata a Ventotene per condotta dissoluta e amorale. Il pittore immagina la grande casa dell’esilio costruita nella piccola isola immersa nel blu profondo del Tirreno, come il luogo metaforico dell’eros, il luogo in cui i desideri, tutti i desideri, hanno la possibilità di esprimersi, anche se poi non arriveranno a compimento, ma rimarranno lì con la loro dolorosa flagranza. Aleggia, infatti, un’aria venefica a sottolineare l’impossibilità di vivere l’erotismo come forza positiva, come gioia, come piacere e la pittura si presenta come superficie fremente su cui la passione diventa ansia e la voluttà angoscia, come cupa espressione dei desideri frustrati e non come il campo in cui essi si possono ricomporre. Le pareti della casa diventano, allora, metaforicamente lo schermo su cui ritrovare i segni, le stigmate di un difficile e solitario cammino verso la consapevolezza del sentire del corpo, che non sempre coincide con le leggi dell’uomo, anzi ad esse spesso si oppone per seguire i dettami della sua natura demonica. La giovane e avvenente figlia dell’imperatore e la sua solitaria dimora rappresentano quindi la possibilità di addentrarsi nei territori sconosciuti del desiderio con le sue stridenti sconnessioni e profonde contraddizioni e quella che Pecci ha elaborato immergendosi nell'abisso delle primigenie pulsioni non è una pittura consolatoria, ma estremamente oscura come se in essa eros e pathos si fossero momentaneamente rifugiati per trovare nutrimento.

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