28/01/2014 dalle 18:00  al 14/02/2014 alle 20:00

Marcello Rossetti. Il sentire della forma

A cura di: Testo di Nicola Carrino

Marcello Rossetti. Il sentire della forma

VISITA ALLO STUDIO DI MARCELLO ROSSETTI
IL SENTIRE DELLA FORMA.

 
É una giornata di sole di un caldo fine ottobre. Lo studio di Marcello Rossetti accoglie affacciato su un’ampia terrazza nella fabbrica restaurata di sapore postmoderno. Dall’interno lo sguardo corre in alto verso la cima dell’antico serbatoio, a confrontarsi con l’affascinante struttura del Gazometro caratterizzante la zona. Un paesaggio alla Bernhard e Hilla Becher, del recupero industriale.
Ci rivediamo con Marcello a distanza di alcuni anni dalle occasioni accademiche. Anche lui esile, bianca e rada la barba, agile nei movimenti. E’ nato nel ‘39 Marcello, a Roma. Fa parte come me, di quella generazione del ‘30 che nel sessanta pose l’aut aut al mondo dell’arte, fratturando gli schemi, ormai saturi dell’informale. Qui a Roma nelle esperienze a lui più vicine del Maestro Mannucci da Fabriano e di Leoncillo, principe della ceramica. Marcello in coordinazione, ne batteva le ampie superfici del Monumento a Solferino, del primo, in una grotta-studio oltretevere, di creta malleabile, in attesa di trasformarsi in evidente cemento, costellato in cristalli. O si alternava, macinando a mano, i colori di terra che il secondo preparava, prevedendo la resa materica ceramica, cotta dal fuoco ad alta temperatura. Quale grande scuola! E si sente e si riscopre, nella persona e personalità di Marcello, ormai legata ai maestri nel solo affettuoso ricordo.
Nello studio, arioso e ingombro, i manufatti da poco approntati, ancora non fissate le parti formanti l’insieme di ogni singola composizione. "Coordinazioni" come egli le chiama. Spiccano a muro i precedenti grandi rilievi "Metamorfosi di Eros". Il fuoco sacro che brucia lo spirito e incanala le idee. Così negli ultimi pezzi. Assemblaggi di volumi, costruiti in legno, uno per uno, in attesa di evidenziare il tutto volumetrico e cromatico, a testimoniare un fare con le mani, che risponda all’imput sentito dall’emozione e guidato razionalmente in ricerca dell’ordine possibile. Del tutto deflagrante in esplosione frammentata del piano di base. In partenza quadrati, possibilmente accostabili, a contenere empiti diagonali, dinamici dal centro alla periferia, come nell’“Omaggio a Calvino".
L’Italia non tradisce l’ascendente avanguardistico del primo novecento trascorso. Ha voglia di futuro nelle forme triangolari e mistilinee spezzate, a congiungersi e disgiungersi, come lampi in pacato fragore cromatico.
Sono smalti all’ acqua i colori che coprono le forme triangolari e piramidali. Che ne investono le superfici, con sapienti laccature. Al bianco e nero intrigante delle prime composizioni del ‘70, si aggiungono i blu quasi viola, profondi, e i rossi emergenti, a contrasto dei neri. Questo nelle piccole composizioni, mentre le ocre imperversano dorate a riflettere la luce negli interstizi e spaccature che frammentano l’insieme delle altre più grandi.
E così di riscontro nelle forme plastiche tridimensionalmente autonome che non possono che definirsi ed essere sculture. Si alza una in particolare sullo schema a croce, alla base e in alto, aprendosi come un fiore che sboccia, ma solido e robusto in incomprensibili a prima vista e poi piacevolmente comprensibili triangolazioni di difficile evidenza.
Piani che irrompono in rette, a contrasto delle linee curve del padre-maestro Mannucci. E non solo. Contrastano l’idea di città monotona della speculazione edilizia, che negli anni cinquanta e sessanta della ricostruzione famelica, infestava le periferie di Roma. Sorgono invece le “Città” di Marcello, in vivo pullulante formarsi.
Una serie bianca sul piano, con lance sporgenti oltre il margine limite del riquadro. Saette diagonali da sinistra a destra, dal basso verso l’alto, tutte sul fronte a destra di chi guarda, mentre a sinistra ribollono volumetrie piene e sostanziose.
Altra serie si configura, in altezza, spazialmente. Forme tetraedriche angolate in diversa misura e gran numero di elementi. Si aggregano in nuclei consistenti, a piramide crescente. Modelli volumetricamente e cromaticamente distinti in quattro nuclei, come i quattro colori amati, esprimenti contrasto e passione. Nero, blu, rosso, bianco. Si schierano in fila, compatte, lungo un fiume immaginario. Come realmente sorgono oggi in Cina, riflesse nelle acque dei grandi fiumi.
Parliamo con Marcello della mostra che intende realizzare. Sarà in gennaio del prossimo anno allo Studio Arte Fuori Centro, in Roma. É uno spazio che conosco, per aver visto altre mostre. Mi riesce facile ricostruirlo a mente e leggere già la disposizione installativa prevista. Da un lato a sinistra i blocchi delle sculture in piano, a parete. Prima gli scuri, in sequenza i chiari. Sul fondo la più grande in giallo e sparse di lato, in composizione, le forme mistilinee di identico colore. Per seguire a destra le città, su un piano di appoggio e probabilmente due libri d’artista, non ancora pronti.
Scorgo intanto emergenti alcuni fogli disegnati. Sono sul tavolo presso il quale ci siamo attestati a parlare. Sono progetti fatti a matita. Composizioni, volumetriche e dinamiche, così come il pensiero le vede e la mano le costruisce, disposte in armonica o voluta disarmonica componibilità. Significanti nel valore della grafite che riporta l’indurre della mano. In aggiunta il valore dei numeri e delle lettere scritte ad individuare il ricomporsi delle forme.
Torniamo quindi all’installazione del tutto. Del colloquiare unitario tra le parti. Ad esprimere un unico segno. Un unico pensiero. Il sentire della forma.
 
Roma, 26 . 10 . 2013
Nicola Carrino

 
 

 

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