07/06/2005  al 24/06/2005

ADA IMPALLARA: Orizzonti

A cura di: Loredana Rea

ADA IMPALLARA: Orizzonti In questi ultimi anni la ricerca di Ada Impallara si è focalizzata sulla necessità di costruire un linguaggio capace di materializzare le complesse riflessioni sul rapporto tra spazio e tempo, che costituisce il centro intorno cui si articola la sua pittura. Fin da principio è alla sensuale opulenza del colore che assegna la funzione di denotare e poi connotare la realtà di una dimensione in cui la verità del mondo esterno lascia il posto a un mondo ricreato con i mezzi offerti dall’arte. L’assunto di partenza però è sempre stato il desiderio di costruire tra spazio e tempo una relazione attiva e dinamica, per esprimere l’inarrestabile divenire delle cose, l’inesplicabile fluire dell’esistenza, la complessità del farsi quotidiano. La pittura è diventata allora luogo metaforico in cui si rende manifesta l’emozione dell’inarrestabile pulsare della vita, in cui si compie l’opportunità di discendere verso la radice delle cose, per conquistare la coscienza di sé. Nascono così i lavori appartenenti alla serie degli Orizzonti, in cui l’artista ha raggiunto un grado di maturità tale da strutturare un linguaggio rigoroso eppure estremamente allusivo, giocato tutto sulla centralità della pittura, ma anche sulla necessità di andare oltre, tanto che nelle opere recenti la materia cromatica è spinta fino all’orlo estremo della non visibilità. Per questa mostra, come conseguente declinazione delle ipotesi iniziali, la pittura fatta di gesti misurati e sensualità materiche è momentaneamente superata, per dare voce alla poesia di segni sapientemente incisi nel metallo e all’armonia delle ampie campiture ottenute con controllate morsure: reticoli di graffi quasi impalpabili a plasmare superfici pulsanti si rapportano con velature leggere che si stratificano fino a creare tessiture difformi di grumi minuti, di piccoli solchi, di impercettibili corrugamenti e lievissime depressioni, mentre linee attraversano lo spazio a tracciare lo sviluppo di territori vasti in cui lo sguardo può perdersi. La pittura ha abbandonato la consistenza, la viscosità e perfino il colore, che pure per molti anni sono stati il centro della ricerca di Impallara, ed è diventa pulviscolare stratificazione, patina rugginosa ottenuta attraverso l’acidazione delle lastre e l’intreccio multiforme di segni calligrafici, ad esaltare da una parte le qualità intrinseche della superficie scelta come supporto, dall’altra a delineare allusivamente i differenti orizzonti della visione che si intersecano nello spazio. Ma l’orizzonte non è rigidamente lineare, è una curvatura variabile, si inflette senza mai chiudersi intorno ad un centro, a indicare profondità spaziali lungo le quali inoltrarsi: lo sguardo è libero di vagare per oltrepassare i confini in cui la terra e il cielo si lambiscono, e arrivare lì dove la chiarezza del vedere sfuma nell’indistinzione. Lo spazio, costruito attraverso la calibrata dimensionalità delle campiture e un dialettico rapporto tra i differenti piani cromatici, creati con le ricercate ossidazioni e le calcolate trasparenze, con l’infittirsi e il diradarsi di segni diversi per intensità e modulazione, non è uno spazio di proiezione, condizione speculare del reale, è insieme superficie e profondità, sedimentazione di esperienze vissute e loro sublimazione, limite e non limite. Il suo complesso sviluppo è scandito dallo scorrere del tempo, invisibile struttura portante, che permette allo spazio di espandersi o contrarsi ben oltre la griglia imposta dalla geometria. Ma il tempo non è quello oggettivo, scientificamente misurabile, piuttosto è una variabile ambigua, che scandisce il farsi e il disfarsi delle impressioni, delle sensazioni, delle emozioni che in maniera imprevedibile e differente segnano profondamente ogni singola esistenza interiore, ma soprattutto è capace di portare alla luce i legami inscindibili che uniscono cosa a cosa nella primigenia unità tra caos e cosmo, aprendo un varco tra la persistenza del passato, la flagranza del presente e i presagi del futuro. Si comprende come su queste basi Ada Impallara abbia realizzato un’installazione concettualmente complessa, che coinvolge l’intero luogo espositivo: su pareti e pavimento si materializzano le linee direttrici dello spazio, incise sulle ampie superfici metalliche o tracciate sull’intonaco o il cotto. L’intenzione è quella di andare oltre la tela, di distruggere il luogo fisico del quadro: la superficie dell’opera non è più semplice confine tra il qui e l’oltre e la luce che moltiplica l’ordito dei segni ed esalta la tessitura delle superfici, dissolve il limite tra il finito e l’infinito, con la specifica intenzione di mettere il mondo e la sua spaesante vastità tra parentesi, per cogliere i tenaci legami tra la finitezza della realtà e l’infinitezza del cosmo, in cui essa si rispecchia.

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