06/10/2015  al 23/10/2015

Francesca Nacci. Difficile compagnia

A cura di: Ida Terracciano

Francesca Nacci. Difficile compagnia
L’evento è il secondo appuntamento di Spazio Aperto 2015 ciclo di quattro mostre in cui l’associazione culturale Fuori Centro ha invitato gallerie e critici di altre regioni italiane a segnalare artisti appartenenti al proprio territorio per tracciare i percorsi e gli obiettivi che si vanno elaborando nei multiformi ambiti delle esperienze legate alla sperimentazione.
Francesca Nacci presenta negli spazi della Galleria Arte Fuori Centro di Roma il ciclo di opere: “Difficile Compagnia” realizzato nel corso degli ultimi due anni e nato dall’incontro diretto fra l’artista e i propri interlocutori. Attraverso l'esperienza della comunicazione verbale con il “ritratto” e l’azione di registrazione condotta dalla macchina fotografica, utilizzati come mezzi preliminari alla realizzazione dell’opera pittorica, l’artista pone al centro della propria ricerca le dinamiche relazionali e lo stesso concetto di alterità.
L’ampio e articolato sistema di opere è costituito da una fitta serialità in cui volti e sguardi deformati dal gesto espressivo, catturano la mancanza e l’incomodo quali essenze del disagio. Ogni singola opera-frammento nasce all'interno di un processo linguistico sistematico, dando vita a un evento espositivo performativo qualificato dalla distribuzione cinematografica nello spazio. Le due distinte aree espressive presentate in mostra aggrediscono la fruizione e sono contrassegnate dalla centralità del “ritratto psicologico” del soggetto prescelto, frutto di un gesto pittorico immediato, di un’insistita ripetizione che si rinnova, condotta per sottolineatura del segno-scrittura e per distribuzione palpabile del colore.  
L'evento espositivo realizzato da Francesca Nacci s’inserisce, con doti di originalità e specificità estetica, nel territorio di relazione interpersonale profondo; in quest'ambito di analisi, la mediazione tecnico-strumentale appare un prezioso strumento d’indagine per l'affermazione di relazioni sconosciute: "Cosi anche il linguaggio si adegua, si presta allo spleen, ai vari stati che cerco di svelare. Uso l'incomunicabilità e le discrepanze per dimostrare l'ambivalenza. Per dimostrare che il dialogo non è impossibile, che il “tutto” è la nuova monade. Ovviamente ciò porta a un'opera che, tecnicamente e spiritualmente, lavori a più livelli".
 
Testo di Ida Terracciano
Due distinti cicli di opere, composti da circa cento "frammenti" dipinti, sono stati racchiusi da Francesca Nacci nel titolo: “Difficile compagnia”. Sulla base di un'attenta selezione, lo spazio della Galleria vede uno sviluppo installativo caratterizzato da una insistita sequenzialità; il processo espositivo si articola sulla fruizione itinerante di quaranta opere testimoni dell’incontro fra l’artista e i propri interlocutori, contrassegnato dall’instaurarsi di una relazione in cui il dialogo ha rappresentato un pretesto per rilevare, attraverso l’occhio fotografico e l’azione della cattura sequenziale degli scatti, e quindi di registrare la mimica dei volti, i gesti e i movimenti del corpo con le contrazioni, gli spasmi che tradiscono l’interiorità. Sull'articolata risultanza di un processo documentativo oggettivo, Francesca Nacci ha condotto il gesto e l'azione della pittura con valore di affermazione, accentuazione e dichiarazione di quelle realtà nascoste che l'estetica visiva è in grado di affrontare.   
Particolarmente interessante risulta la ricerca di Francesca Nacci che, ponendosi apparentemente nella linea della grande tradizione pittorica europea, pone al centro della propria ricerca la “totalità” dell’esperienza nata dall’incontro fra l’artista e il personaggio ritratto, nella sospensione temporale di un interno. Pratica quest’ultima ancora oggi troppo confinata nella ritrattistica e non ancora abbastanza collegata all’antichissima cultura antropologica dell’animismo e ai suoi innumerevoli risvolti tra cui la magia della camera oscura, la fotografia e la grande illusione del cinema.
Non ancora abbastanza indagata è la centralità dell’incontro con l’altro da sé, la necessità di scoperta di tracce di autentica individualità. Eppure uno straordinario patrimonio artistico è nato dalla ricerca espressiva condotta attraverso lo studio delle espressioni umane colte in condizioni normali o estreme. Si pensi, al concetto di pathos e in particolare, a tutti gli studi di fisiognomica, alle deformazioni espressioniste, ossia a tutto ciò che ha animato fin dall'antichità nella storiografia artistica il mito dei moti dell’anima. Questa eredità è stata assunta dalla cultura moderna della psicanalisi a partire dagli studi di Freud su Leonardo da Vinci, studi che hanno interessato e segnato profondamente intere generazioni di studiosi delimitando così un territorio in cui, tutt’oggi, l’arte delle espressioni sembra che non possa più prescindere dalla psicologia e dalla psicanalisi.
Oggi, nella condivisa e contrastata contemporaneità, Francesca Nacci affida all’incontro fisico con i suoi interlocutori la possibilità di entrare in “comunicazione” con la profondità dell’altro.  Recuperando l'esperienza della “seduta”, l’artista stabilisce le condizioni affinché il dialogo diventi solo l’innesco di un'imprevedibile serie di reazioni emozionali che possano manifestare presunte realtà, autentiche falsità o indicare delle verità; rigurgitando contraddizioni, mancanza di ascolto, aggressività, rivelando solitudine e l’impossibilità di una relazione completa con l’altro, nasce un ciclo per frammenti intenso e avvincente, suggestivo di rispecchiamenti divaricabili.
Un processo che, complicatesi le condizioni sociali ed esistenziali, irrigiditesi le possibilità di espressione, sottopone i propri modelli a un temporaneo estraniamento dalle attività, costringendoli a una posa attiva e interlocutoria, ristabilendo quel momento unico e conoscitivo tra l’artista e il mondo.
Già la strutturazione di questo momento composto da dialogo-movimento-scatto, sembra condensare ciò che rappresenta il passaggio successivo del lavoro di Francesca Nacci, in cui l’immagine fotografica è interrogata attraverso il gesto della mano che copre, cancella, scopre, l’immagine con il colore. Un lavoro che, a ben considerare, passa di continuo attraverso la superficie nella profondità dell’immagine, tra le pelli dell’esistente.
Sarebbe errato tuttavia circoscrivere la produzione all’interno di un’operazione di scavo psicologico, le opere, infatti, per la loro forte capacità di coinvolgimento emotivo sembrano riconnettersi maggiormente alle dimensioni dell’empatia e all’animismo entrambe presenti nella cultura ritrattistica. Francesca Nacci agisce con violenza sull’immagine con un gesto profanatore memore dell'eredità di Arnulf Rainer, ma scegliendo di riaffermare i caratteri specifici e personali di una intensa componente pittorica, costruita sull'azione performativa del gesto, a tratti disteso ma anche con momenti di dichiarata fisicità, e del segno, che si definisce nella scrittura.
Gli interventi condotti sulla base di una stampa fotografica, frutto di una prima selezione di scatti,  si caratterizzano attraverso l'impiego di materiali eterogenei tra loro, con l'obiettivo di rendere manifesto uno stato di contraddizione interna alla costituzione del lavoro. Il colore sotto forma di smalto, il grumo antico e prezioso della gommalacca, la durezza della grafite, sovrascrive il sistema insistito d’immagine producendo ora cancellature, frequenti sbavature, evidenti sottolineature e cerchiature. Il processo espressivo si dimostra sicuramente attento e non casuale, ma anche dotato di un  vigore dato dal movimento della mano che attraverso il gesto opera sulla sintesi interpretativa, aprendo alla lettura degli stadi più profondi dell’apparire.
Andando ad osservare con attenzione i due distinti cicli di lavori si osserveranno quelle differenze linguistiche frutto della natura specifica di ogni singolo rapporto di relazione, dove cioè i processi della ritrattistica sono legati a dinamiche non ripetibili, ma dichiaratamente indipendenti. All'interno di una "Difficile compagnia" una prima produzione di opere, costruita sul rapporto tra fotogramma e pittura, nasce dall’incontro di Francesca Nacci con l’artista Valeria Manzi; al centro di questa esperienza di confronto e di osservazione, contrassegnata dalla macchia e dal segno, si pongono le dettagliate condizioni espressive del volto e in particolare il suo costante e complesso movimento rivelatore di ogni inquietudine interiore. Il secondo ciclo ha visto direttamente coinvolta chi scrive all'interno di una impegnativa e interminabile sessione di prova; i risultati, contrassegnati  dal vivace movimento della pittura, evidenziano la relazione dialettica dell'emozione  e del giudizio all'interno dell'interscambio temporale tra l'ascolto e la comunicazione.  
Laddove l’oggettività della figura viene meno e soprattutto l’aggressività del gesto si placa, in particolare nello sfondo dell'intero ciclo, affiorano e si affermano, ad una lettura che si sofferma, immagini antropomorfe; prendono corpo immagini, frutto diretto del fare artistico, in precario equilibrio con lo stato di consapevolezza, che si allineano come larve nate da uno spirito percettivo e visionario.
I risultati di questa esperienza, fondata sullo stato di personale messa in discussione attraverso la partecipazione,  inquadrano i processi espressivi di Francesca Nacci all'interno della contaminazione tra l’eredità della figurazione degli anni Sessanta, il patrimonio propositivo dell'esperienza performativa e della comunicazione processuale, l'incidenza della tensione psicologica indotta dal neo-espressionismo.
 
 
 

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