22/10/2002  al 08/11/2002

Jasmina Cibic e Annaclara di Biase "Flesh"

A cura di: Carmen Lorenzetti

Jasmina Cibic e Annaclara di Biase "Flesh" Chi non vorrebbe entrare talvolta nella pelle di qualcun altro, identificarsi con un personaggio famoso o semplicemente diverso, magari viaggiando indistintamente nello spazio e nel tempo? Questo, quasi, fa Annaclara attraverso delle vaste, classiche cibachrome in cui il personaggio è indice stratificato di ubique simbologie, ritagliate da scampoli di tempo incassati nella memoria del presente collettivo. Il suo sguardo rimbalza e si nutre della dolceamara magia delle immagini di celluloide, dove echeggiano prismatiche, ma eternamente cicliche le narrazioni. Questa rabdomantica condizione di pellegrino “globale” è poi agganciata come un uncino alla realtà locale di un odore e di un colore o di un prodotto naturale oppure alla risonanza d’una sensibilità imperscrutabile e unica, quanto evocativa. L’operazione di travestimento è incentrata nell’atto del rivestire attraverso il tessuto, come se fosse una pelle, una seconda pelle, in cui è possibile proiettare e raggrumare il desiderio. Il tessuto, in sé, quasi più del corpo, diventa il luogo in cui s’intersecano torrenti di stimoli ed immagini, ricordi e sentimenti. L’interfaccia tra il dentro di sé e il fuori del mondo. Questo luogo d’incontro viene cucito addosso al corpo rappresentato con la maestria del tocco della haute-couture, che magicamente crea atmosfere e rivela morbido ed implacabile ad un tempo l’impronta d’un possibile vissuto. E’ per questo che talvolta l’artista non ha bisogno di rappresentare, ma suggerisce ed evoca attraverso il ripiegarsi di un taffettà bluastro o il sovrapporsi impalpabile di veli. Veli che spesso ricorrono nel lavoro dell’artista, forse poiché c’è poco di così immediatamente femminile come il velo. Ed ecco, il travestimento è proiezione del femminile, d’una condizione di desiderio o di trepida paura, di angoscia profonda o di smarrita e dolce solitudine. I segni di una maglia che non tiene, come scriveva Montale, sono precisi, e creano una breccia nell’apparente sospensione del tempo delle immagini, come il filo che avvolge e imprigiona lieve un’epidermide di carne e di raso. L’intrusione di una nota dissonante, nell’apparente perfezione di una realtà che scorre piatta e bidimensionale, scardina meccanismi consolidati nel segno di un’agognata riappropriazione del mondo.

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