28/01/2003  al 14/02/2003

ALDO BANDINELLI: Necessità della pittura

A cura di: Loredana Rea

ALDO BANDINELLI: Necessità della pittura Per Aldo Bandinelli lo statuto dell’arte si autodetermina nell’esternazione perentoria del lato morale della pittura. Pittore convinto, idealmente collegato con i movimenti storico-artistici che hanno dato senso al Novecento – l’informale e l’astrattismo – attraverso queste due polarità, che nell’itinere del fare accrescendosi, a volte, di fondi ispessiti con la sabbia, riecheggiano, non ultimo, istanze surrealistico massoniane, egli giunge a connotare una sua pittura, di lui fortemente rappresentativa. Nel senso, è evidente, che la dimensione intellettuale del procedere artistico di Bandinelli, la fermezza interiore che l’ispira, lo dispongono a realizzare una pittura costantemente periclitante tra emozione e controllo. Non c’è mai nei suoi dipinti un lasciarsi andare oltre un certo limite all’imprevedibilità del momento; c’è piuttosto un equilibrarsi costante tra l’attenzione e il rapporto più pulsionale che lui stabilisce con la materia – spatolata, plasmata a volte con le mani, lavorata a pennello o con i fondi sabbia citati – e la ricerca che conduce nell’ambito del segno. Materia e segno stabiliscono quindi tra loro territori d’interazione e sconfinamento: materia ricca di pulsioni ma non per questo urlata, che nel suo procedere agisce per sottrazione, per riduzione, adottando una poetica che più che con la ridondanza della pasta pittorica agisce in linea con ciò che è necessario; e segno che è traccia, è indicazione di organigrammi mentali che si esplicitano con la volontà di sintesi, con una perentorietà che è anche timidezza nel definire una linea di confine - e di equilibrio – nel rapporto voluto all’interno del campo visivo-quadro tra emozione e controllo, tra materia e segno. E direi che il lato morale cercato nella pittura da Bandinelli, e dato come premessa di questo scritto, si concretizzi e accentri proprio attorno a questo nodo, a questa volontà d’equilibrio, che in ultima analisi, è anche una ricerca sulle radici stesse del concetto di pittura, in un’accezione sovrastorica che ne ribadisce l’importanza con l’esclusiva presenza del suo essere. La pittura di Aldo per quanto detto è fatta per orecchi che vogliono udire, in un gioco a lui assolutamente pertinente di assonanza tra pittura e musica, essendo costituita di cenni lievi, di atmosfere rarefatte e impostate sull’assenza e il vuoto. Grandi o piccoli che siano, i suoi quadri si conformano costantemente sul formato quadrato, variato solamente nella scala dimensionale. Componibili in dittici o trittici, oppure leggibili singolarmente, essi stabiliscono tra loro una vocazione narrativa coglibile come continuità tra l’uno e l’altro, ma anche come racconto breve a se stante, compiutamente concluso in se stesso. C’è in queste opere il bisogno necessario di dire l’indicibile, che va letto e colto sopra-dentro-attraverso le superfici bianche delle sue tele. Si potrebbe parlare di una poetica dell’assenza, di un coro muto, che come quello, appunto, dal nitore della pittura, non così uniforme come potrebbe sembrare ad un occhio-orecchio distratto, fa emergere note dissonanti riequilibranti l’insieme, attraverso segni che interagiscono e interferiscono, tra i quali, a volte, compare una lievissima traccia, come un filo blu di ricucitura dell’intero discorso sulla pittura tracciato da Bandinelli. Il valore morale della pittura e la dimensione classica della sua compostezza sono così ribaditi in una dimensione, che pur rivendicando la sua collocazione nell’ attualità dei linguaggi dell’arte contemporanea, ne ribadisce tuttavia l’autonomia dell’agire.

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