17/03/2009  al 03/04/2009

PAOLA BABINI: In her shoes

A cura di: Loredana Rea

PAOLA BABINI: In her shoes
IN HER SHOES
Tra passione e ossessione le scarpe come metafora dell’identità femminile
 Le scarpe non sono più in semplice accessorio, sono l’estensione di una donna
Christian Louboutin 
 
L’insopprimibile bisogno di coniugare la progettualità creativa con una stringente riflessione su di sé fin da principio ha tracciato il campo della sperimentazione di Paola Babini, delineando in maniera netta i confini di un territorio ampio in cui l’originario interesse per la pittura ha trovato differenti declinazioni grazie all’utilizzo di nuovi materiali e all’elaborazione di suggestioni provenienti da linguaggi di natura spesso divergente. Gli assemblaggi, che correlati in modi sempre diversi rappresentano la struttura portante delle sue opere più recenti, infatti, evidenziano non solo una particolare attenzione alle possibilità formali ed espressive di materie eterogenee, quanto piuttosto la necessità di fare propria, rendendola assolutamente coerente, una molteplicità di approcci, intenzioni e realizzazioni che caratterizza in maniera determinante la contemporaneità.
La fertile contaminazione tra i mezzi espressivi legati alla tradizione e quelli prodotti dalle nuove tecnologie le ha aperto altre strade da attraversare, permettendole di ottenere risultati decisamente interessanti, in cui dimostra che la sua è una ricerca in continua evoluzione e che gli abituali strumenti espressivi possono essere trasformati, amplificati o anche semplicemente citati con l’intenzione di caricarli di altre valenze, per trasmettere nuovi significati ed emozioni.
È così che nel percorso artistico di Babini passato e presente si sono intrecciati indissolubilmente per trovare un’inattesa armonia e suggerire sempre ulteriori possibilità di fruttuose commistioni, attraverso cui l’artista svela un’inclinazione a rendere manifesta con gli strumenti dell’arte la coscienza dell’accadere, del farsi delle cose, del loro continuo divenire e, soprattutto, la necessità di riportare a sé ogni singolo evento, filtrandolo attraverso il proprio vissuto.
Lavorare con elementi autobiografici, rielaborandoli in una direzione volutamente evocativa, rappresenta anzi il processo centrale della sua ricerca artistica, così come è andata configurandosi in questo decennio, tanto che la memoria non è solo il filo tenace che lega le esperienze di questi ultimi anni, ma declinata secondo una sensibilità profondamente intimista, offre la possibilità di entrare in una dimensione complessa in cui la femminilità si confronta costantemente con la realtà della vita quotidiana e la sua inesplicabile ritualità.
Per Paola Babini l’arte rappresenta quindi la necessità di mettere a nudo se stessa, le inquietudini, le incertezze, le difficoltà del proprio tempo, ma anche l’opportunità di riconoscersi nel quotidiano di altre donne, per mettere in luce un sentire comune che si materializza con una ricercata attenzione alla qualità emotiva degli accadimenti, piuttosto che al loro carattere squisitamente fattuale.
Anche la scelta delle scarpe, reiterato soggetto di un linguaggio in continua evoluzione, intese come simbolo del proprio vissuto ed anche come metafora della condizione di altre donne, indica non solo una predilezione tutta al femminile per un oggetto che materializza desideri di possesso e di seduzione, quanto piuttosto l’emblematica immagine della ricerca di sé, della propria identità in una società che va continuamente trasformandosi, sotto l'azione di una globalizzazione spesso tanto invasiva da apparire soverchiante.
Nell’immaginario femminile le scarpe non rappresentano, infatti, un semplice accessorio pensato e creato per facilitare la deambulazione, né solamente una peccaminosa tentazione, né un ricercatissimo e costosissimo strumento di seduzione o piuttosto il feticcio glamour di una società sempre più attenta ad apparire più che ad essere, ma esprimono la personalità di chi le indossa, indicando al mondo chi si è e, soprattutto, cosa si vuole diventare. A loro, infatti, le donne affidano il compito di rappresentare se stesse, di svelare le proprie emozioni e il proprio carattere, come se la scelta di stile rappresentasse una scelta di essere e, allo stesso tempo, la possibilità di affermare la propria individualità.
Ogni scarpa ha un’anima, che si palesa nella forma e nel colore per raccontarci sommessamente della donna che l’ha scelta e poi indossata per attraversare con passi incerti o ampie falcate la propria quotidianità. Ogni scarpa nasconde piccoli e grandi segreti sussurrati con pudore alle orecchie di un’amica, solitudini e gioie vissute con la disarmante semplicità della vita di ogni giorno, parole leggere come un soffio di vento ascoltate per caso, sorrisi catturati distrattamente mentre si è in fila nel traffico, palpiti del cuore solo apparentemente insignificanti che la memoria continua a custodire accanto al profumo di una giornata di pioggia e desideri di sentirsi anche solo per un breve istante il centro del mondo per colmare i vuoti di un quotidiano pieno di difficoltà.
Non meraviglia dunque che Paola Babini in una sorta di crescente e dolcissima ossessione, non troppo diversa da quella delle sempre più numerose shoe victims sparse un po’ ovunque nel mondo, che nutrono con compiaciuta noncuranza il loro desiderio di possesso, le abbia trasformate in materia d’arte per raccontare di sé e attraverso se stessa di tutte quelle altre donne che guardando le sue scarpe di bambina ricordano la propria infanzia o vedendo quel paio di scarpe verdi sentono ancora l’emozione di una vecchia canzone ballata stretta stretta a chi sa chi o ancora davanti a quel paio di mocassini marroni ricordano una passeggiata nel parco che sapeva di primavera.
Attraverso le scarpe, vere o riprodotte su superfici trasparenti o specchianti, ma comunque sempre custodite in eleganti scatole di plexiglass, disposte secondo un ordine che nulla lascia al caso, l’artista sublima gli accadimenti legati alla propria vita in una condizione più ampia, in cui ogni donna può riconoscere se stessa. L’intimo e il pubblico, la consapevolezza del vissuto e la speranza di ciò che è o che potrebbe accadere, creano una commistione in grado di proiettare ognuno di noi dentro la sua vita, provocando l’intrigate possibilità di domandarsi: “…e se fossi lei?”

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